La Riforma del Terzo Settore spiegata semplice

La Riforma del Terzo Settore spiegata semplice

Da alcuni anni il mondo delle organizzazioni non profit e dell’associazionismo sta affrontando una profonda trasformazione, soprattutto a livello burocratico. L’obiettivo della Riforma del Terzo Settore è infatti riordinare la normativa vigente e tutelare tutte le organizzazioni che da anni sono impegnate in attività di interesse generale.

Cerchiamo allora di fare un po’ di chiarezza e spiegare la storia e le principali novità della Riforma del Terzo Settore.

I primi passi verso una regolamentazione sono stati fatti nel 2014, con la pubblicazione delle “Linee Guida per una Riforma del Terzo Settore” che ha portato l’anno successivo all’approvazione della Legge Delega 106/2016 per la Riforma del Terzo Settore.

La Legge Delega è stato il punto di partenza, il mandato ufficiale che il governo ha ricevuto per portare avanti questo progetto.

Nel 2017 sono stati pubblicati i primi decreti attuativi di questa legge. Il più importante e corposo è stato il Codice del Terzo Settore, composto da 104 articoli che sanciscono il perimetro di azione di tutte le realtà operanti in questo settore.

Enti del Terzo Settore: un solo nome per tutti

Il primo grande cambiamento che introduce la Riforma del Terzo Settore riguarda il modo in cui vengono chiamati i suoi membri.

Tutti i soggetti che ne fanno parte si chiamano ora infatti Enti del Terzo Settore (ETS). È la prima volta che organizzazioni, cooperative, associazioni hanno un nome che le raggruppi tutte.

La Riforma del Terzo Settore ha anche messo ordine alle tipologie di ETS che possono esistere in Italia. Le nuove categorie sono 7:

  • Organizzazioni di volontariato (Odv).
  • Associazioni di promozione sociale (Aps).
  • Imprese sociali (incluse le attuali cooperative sociali).
  • Enti filantropici.
  • Reti associative.
  • Società di mutuo soccorso.
  • Altri enti.

Viene definito un confine preciso che lascia quindi fuori soggetti come le amministrazioni pubbliche, le fondazioni di origine bancaria, i partiti, i sindacati, le associazioni professionali, di categoria e di datori di lavoro. Per quanto riguarda gli enti religiosi, il Codice si applicherà limitatamente ad alcune attività di interesse generale e con regole ad hoc.

Le novità della riforma: obblighi degli ETS e il 5 per mille

La Riforma del Terzo Settore porta anche altre grandi novità.

La prima è la nascite del RUNTS, il Registro Unico Nazionale del Terzo Settore. Il RUNTS andrà a sostituire i registri territoriali, avrà sede presso il Ministero delle Politiche sociali ma sarà gestito e aggiornato a livello regionale. Tutti gli ETS sono obbligati a iscriversi al RUNTS per essere riconosciuti dallo Stato e sul RUNTS potranno anche caricare i propri bilanci di anno in anno.

Vengono poi istituiti presso il Ministero il Consiglio nazionale del Terzo settore e la Cabina di regia. Il primo è un nuovo organismo di una trentina di componenti e fa da organo consultivo per l’armonizzazione legislativa dell’intera materia. La Cabina di regia ha invece funzione di coordinamento delle politiche di governo.

La Riforma del Terzo Settore introduce anche una serie di nuovi obblighi per tutti gli ETS. Democrazia interna, trasparenza, rapporti di lavoro, assicurazione dei volontari e la destinazione di eventuali utili sono tutti temi toccati da nuove norme e adempimenti per rendicontare tutto al meglio.

Nuove regole anche per il 5 per mille, storico strumento di sostegno del non profit, che si apre a tutti gli Enti del Terzo Settore iscritti al registro unico nazionale, snellendo alcune procedure burocratiche, accelerandone i tempi di erogazione e modificandone le soglie minime.

Tra le novità c’è infine la nascita della Fondazione Italia Sociale, una fondazione di partecipazione senza scopo di lucro per il finanziamento delle attività degli Enti del Terzo Settore utilizzando risorse private.